Elena Ferrara

A sostegno dell’autodeterminazione del popolo Saharawi

Questa mattina in Senato è stata discussa la mozione che sollecita il Governo a sostenere il processo di autodeterminazione del popolo Saharawi. Sono molto vicina a questa popolazione e alla situazione socio-politica in cui versa, sia in qualità di membro della Commissione diritti umani del Senato sia perché ho avuto con essa un contatto diretto: gruppi di bambini Saharawi vengono spesso ospitati sul nostro territorio, grazie all’impegno di associazioni di volontariato, locali e nazionali, che svolgono una fondamentale azione di solidarietà.

Ecco il testo del mio intervento in aula

Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi,

il nostro Paese partecipa alla missione umanitaria MINURSO per tutelare i diritti del popolo Saharawi nel Sahara occidentale. I rapporti tra gli Stati del Magherb e la minoranza etnica della popolazione saharawi non sono ancora risolti, in piena violazione del principio di autodeterminazione dei popoli.

La Repubblica araba Sahrawi democratica (RASD) è stata infatti riconosciuta come Stato libero e indipendente dall’Unione Africana e da più di 80 Paesi nel mondo.

La persecuzione del popolo Saharawi e le continue negazioni dei diritti umani in quella area nel Nord Africa richiamano il nostro Paese ad assumere un ruolo più deciso a tutela di un popolo che alla violenza e alla sopraffazione ha sempre risposto con una resistenza pacifica, facendo appello ai diritti civili.

Chiediamo un impegno reale, serio, da parte del nostro Governo, anche nell’ottica di assicurare un adeguato sostegno al processo di ammissione della RASD alle Nazioni Unite.
L’Italia aspira a diventare capofila del rilancio dei popoli del Mediterraneo, nell’ottica di una valorizzazione culturale, commerciale ed economica dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum.

Un’aspirazione legittima, che passa dalla grande speranza dei giovani e delle donne: quelli del nostro Mezzogiorno, quelli primavera araba, quelli del popolo saharawi.

Sul mio territorio, grazie agli scambi culturali, e durante le audizioni in Commisione Dirittti umani, ho avuto modo di capire quanto questo popolo non si sia arreso né alla rabbia né alla rassegnazione, dimostrando passione e coraggio e civiltà.

Si tratta sia nei territori occupati, sia nei campi profughi sperimentato quotidianamente i condizioni di estrema difficoltà di un modello di convivenza esemplare, un modello che si fonda sulla famiglia, improntato alle pari opportunità, alla pace. Un modello comunirio improntato alla valorizzazione dell’educazione democratica.

Molte ragazze e ragazzi hanno studiato e si sono formati all’estero nella speranza di poter avere più strumenti per difendere la propria identità culturale sui tavoli internazionali, ma anche con l’obiettivo di portare servizi e competenze, cure e cultura alla propria gente.

Per troppi anni, purtroppo, non hanno visto cambiare nulla. Per quanto tempo il popolo Saharawi dovrà accettare questa condizione senza reagire in modo violento? Per quanto tempo le loro uniche armi saranno la dignità e la resistenza attiva, ma pacifica?

Come pensiamo che sia possibile non reagire alle tante violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo? i civili sahrawi, nel “territorio non autonomo” del Sahara occidentale, sono privati dei diritti più elementari (diritti di associazione, di espressione, di manifestazione) e la repressione nei loro confronti continua tuttora, come denunciano le organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani (torture, incarcerazioni, sparizioni)

Oltre a questo, come ha ben ricordato il Senatore Vaccari, che ha ricostruito la storia di prevaricazione per il controllo economico, di equilibri politici complessi, di contraddizioni in seno all’ONU

è una storia che vede l’Italia, invece, in un ruolo attivo. L’incisività potrà essere maggiore costruendo un fronte comune in ambito europeo sarà possibile ottenere quello che la mozione individua come possibili sviluppi positivi della situazione del popolo saharawi.

Sbaglia chi pensa che non sia un nostro problema. Sono questi i contesti che portano migliaia di donne, uomini e bambini a scappare dalle loro terre per inseguire un sogno di pace, rischiando la morte nelle acque delle nostro mare. Non vogliamo che questo capiti anche per un popolo che resiste da decenni per restare nella propria terra con una storia che ha permesso grande intelligenza politica e una grande forza culturale e identitaria.

Un popolo a cui non va negato il diritto all’autodeterminazione e alla libertà.

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